Estate 1555, L’affare delle galere

Cardinale Guido Ascanio Sforza – Collezione Privata

Il cardinale Alessandro Farnese (1520-1589), figlio di Pier Luigi Farnese e Girolama Orsini di Pitigliano, nonché nipote di papa Paolo III (1468-1549), si ritrovò alla morte di quest’ultimo gravato di grandi responsabilità politiche e familiari. Lui e suo fratello Ottavio, duca di Parma e Piacenza, dovettero faticare non poco affinché il potere farnesiano rimanesse solido e ben ancorato alla scena politica europea dell’epoca. Certo i papi che seguirono Paolo III non protessero i Farnese, ma fecero il possibile per neutralizzare la loro ascesa politica, come d’altra parte aveva saggiamente e profeticamente intuito Papa Farnese, quando decise d’inviare al nipote Alessandro, suo vero ed unico erede spirituale, una lettera piena di consigli ed avvertimenti che il nipote avrebbe dovuto prendere in seria considerazione nel momento in cui il nonno protettore avrebbe reso l’anima al Signore .
Il cardinale Alessandro aveva però dalla sua parte un grande vantaggio, era estremamente acuto, intelligente, colto, raffinato, ricco ed avvenente, per non parlare della sua forte volontà di riuscire in ogni impresa che si prefiggeva. Aveva ereditato dal nonno tutte le qualità intellettive per muovere i fili del potere ed abbagliare con la sua indiscussa e vasta cultura tutte le corti europee. Anche la più discussa delle regine di quel secolo, Caterina de’ Medici, rimase per tutta la vita legata ad una profonda amicizia con il cardinale, tanto da permettergli di tenere in usufrutto la vigna attigua al Palazzo di Sant’Eustachio di Roma (oggi Palazzo Madama), tornato di proprietà ai Medici dopo una lunga e laboriosa contesa legale con Margherita d’Austria, vedova di Alessandro de’ Medici e successivamente moglie di Ottavio Farnese.
Detto questo si possono ben comprendere quali fossero stati i motivi che spinsero soprattutto papa Paolo IV (Giovan Pietro Carafa, di origini napoletane,1476-1559) a cercare di neutralizzare il potere farnesiano cercando, come il predecessore Giulio III, di far leva sul tanto conteso ducato di Parma e Piacenza che si voleva a tutti i costi far rientrare nei possedimenti della Santa Sede, causando non pochi pensieri al nostro cardinale.
Per meglio comprendere chi fosse Paolo IV é utile ricordare che nel lontano dicembre del 1536 fu nominato cardinale da Paolo III e divenne papa il 23 maggio 1555, proprio con l’appoggio del cardinale Alessandro Farnese jr, il quale subito dopo l’elezione scrisse al Re di Francia: «[…] ma c’è convenuto dar comunemente in questo suggetto, del quale siamo certi che Vostra Maestà [Re di Francia] si contenta; poiché per le sue buone qualità, e per ogni rispetto ne dovemo aspettar un Pontificato a proposito per l’universale, e propizio particolarmente alle cose della sua Corona; essendo tra i primi nominati dalla Maestà Vostra, ed assunto da noi suoi servitori per espresso ordine suo […]»  mentre al suo agente, il cavalier Tiburzio disse: « […] Per questo mi risolvei che non fosse tempo da perdere, e ristrettomi col Reverendissimo di Ferrara medesimo, ci voltammo di comun consenso all’esaltazion di Napoli, come di Soggetto che solo in quel caso mi pareva che si potesse mettere all’opposito degl’Imperiali, per le qualità e per i rispetti che voi sapete, alle cose di Sua Maestà [Re di Francia]. […] Per ora credo che Sua Maestà si possa contentare della presente elezione, la quale spero che debba esser a servizio di Dio ed a particolar comodo delle cose sue […]»  . Paolo IV fu grande difensore della religione cristiana ortodossa, ebbe il demerito d’istituire il ghetto ebraico di Roma ed iniziò a fomentare nuovamente la perenne contesa tra Enrico II di Francia e l’imperatore Carlo V . La sua avversione per la Spagna e l’imperatore, causarono una pericolosa divisione tra i nobili romani schierati dall’una e l’altra parte e tra questi vi furono coinvolti anche i cugini Sforza di Santa Fiora del cardinale Alessandro ed amici a lui vicini.


 Era il 6 Agosto 1555 quando avvenne un episodio che scosse non poco l’equilibrio politico già precario tra Paolo IV e Carlo V. Due delle tre galere di Carlo Sforza comandate da Niccolò Alamanni, a nome del Re di Francia, Enrico II di Valois (1519-1559) , furono sequestrata da Alessandro Sforza di Santa Fiora, Mario suo fratello e gente armata, per condurle a Gaeta e poi a Napoli, sotto il potere degl’Imperiali. Essi ingannarono Giovanni Conte di Montorio, nipote fraterno di Papa Paolo IV Carafa (1476-1559) attraverso Gianfrancesco Lattino, segretario del cardinale camerlengo Guido Ascanio Sforza dei conti di Santa Fiora (1518-1564), il quale, con l’inganno, si fece redigere l’ordine di far partire le suddette galere. Paolo IV fece dunque imprigionare il Lattino in Castel Sant’Angelo, suscitando l’ira che già serpeggiava tra i filospagnoli a cui faceva seguito il cardinale Guido Ascanio Sforza, fratello di Alessandro, sequestratore delle galere. Essi erano figli di Costanza Farnese e Bosio Sforza dei Conti di Santa Fiora, nipoti anche loro di quel papa Paolo III (1468-1549) che cercò per tutta la durata del suo pontificato di trovare un accordo definitivo tra la Francia e Carlo V.
I cugini Sforza e Farnesi, furono quasi sempre divisi nelle scelte politiche e mai riuscirono a trovare un accordo se non quello di una mera parvenza di collaborazione parentale, tesa più che altro a non lasciar trapelare nulla del loro disaccordo all’immagine pubblica.


 
Una Galera o Galea tratto dal sito http://www.sullacrestadellonda.it/imbarcazioni/gimbarcindex.htm#galea1


Il cardinale Guido Ascanio, fu acerrimo nemico dei Carafa e lo dimostrò pienamente quando decise di radunare nel suo palazzo romano, chiamato la Cancelleria vecchia  (gli fu donato dal nonno Paolo III Farnese oggi conosciuto con il nome di palazzo Sforza Cesarini), una congregazione di aderenti agli imperiali, tra cui Marcantonio Colonna ed il confaloniere del popolo romano Giuliano Cesarini , facendo andare su tutte le furie il papa. Il card. Alessandro Farnese Jr si trovò in una spiacevole situazione: da una parte dovette tiepidamente intercedere per suo cugino camerlengo, mentre dall’altra non mancò di appoggiare la Francia; così scriveva infatti il 14 Agosto 1555 ad Enrico II : « […] ed oltre agli cento mila scudi, che l’imbasciatore gli avea offerti, mi mostrai pronto, come sarò, d’impegnar tutte l’entrate mie, ed esporre i fratelli, gli stati e gli amici per la sedia Apostolica e per lei […]» .

       
Card.Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora (a sinistra) e suo fratello il Cardinale Alessandro Sforza di Santa Fiora dipinti di Siciolante da Sermoneta nella cappella Sforza nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma


Tra i personaggi di spicco dell’epoca che contrariarono il papa durante questo braccio di ferro tra i francesi e gli Imperiali, ci fu Marcantonio Colonna, ben conosciuto dal Card. Alessandro, che così scrisse al Cavalier Tiburzio, suo agente presso la corte di Francia il 28 Agosto 1555: «[…] e perché questi giorni il Signor Marc’Antonio Colonna s’ha lasciato uscir alcune parole poco convenienti dicendo che ne potrebbe nascere un sacco di Roma, e che i nipoti del papa andrebbono legati a Napol; non s’é mancato di far vedere a Sua Santità che le forze del Signor Marc’Antonio sono di poca importanza in questa Città, e che la Santità Sua ha delli servitori, che ce n’hanno più di lui […]» . Nei giorni seguenti, essendo passati tutti i termini concessi al cardinale Sforza per la restituzione delle galere, il papa lo fece rinchiudere a Castel Sant’Angelo insieme a Camillo Colonna, altro personaggio che aveva parlato con gran disprezzo del papa nella riunione avvenuta nel palazzo del camerlengo.
Così commentò l’avvenimento il card. Farnese suo cugino, al conestabile di Francia il 30 Agosto 1555: […] jeri finalmente si risolvé e comandò (il papa) che’l cardinal Santa Fiore fosse messo in Castello e dopo lui il Signor Cammillo Colonna, visto che non compariva […] » . Non sembra che il Farnese fosse particolarmente dispiaciuto per l’avvenimento, d’altra parte suo cugino si trovava a sostenere le simpatie degli imperiali mentre lui era dalla parte opposta. In ogni caso dovette cercare di bilanciare i suoi interessi con quelli familiari, ecco dunque la lettera che scrisse al conte di Santa Fiora il 31 Agosto 1555, circa la prigionia del camerlengo suo cugino: « Se’l caso seguito in persona dell’Illustrissimo e Reverendissimo vostro mi ha dato dispiacere, lo lascio in considerazione di quelli ch’hanno giudizio di pensar le cagioni per le quali mi devo dolere: e con tutto che a Sua Signoria Illustrissima non sia parso né confidar di me in questi suoi travagli, né di conferirmeli, né di farmene dir ad altri cosa alcuna; non per questo io gli voglio mancar ne’ suoi bisogni acciocche’l mondo conosca che dalla parte mia non s’é lasciato di far tutto quello che mi si conviene verso di lei e tutta la Casa Vostra. Resta questa mia buona intenzione sia accetta: ch’io , quanto a me, son prontissimo a mostrar gli effetti. Per ora non ho da ricordar altro a Vostra Signoria , se non che, non essendo ora qui chi procuri per lui, ella vada pensando, e si risolva prima da se stessa, se fosse bene, di venir in persona a Roma con un salvocondotto, per poter negoziar la sua liberazione: e quando creda di potersene assicurare, volendo che procuri o questo o altro, o che faccia qualsivoglia offizio in questo caso, io me l’offerisco per quanto vaglio, e per quanto a Vostra Signoria tornerà bene operarmi. Del resto me ne rimetto alla prudenza e valor suo; condolendomi seco di questo accidente, me lo raccomando con tutto il cuore.»  .

Papa Paolo IV Carafa tratto dal sito www.araldicavaticana.com/paolo_iv.htm
I vincitori di Lepanto:Don Juan de Austria, Marco Antonio Colonna e Sebastiano Veniero. Immagine tratta dal sito es.geocities.com/capitancontreras/lepanto.htm


Il card. Alessandro si risolvé pure a scrivere al suo amico Savelli, forse sollecitato dal fratello di questi, che in quei giorni pensava evidentemente di portare il proprio sostegno morale, visitando i figli del prigioniero Camillo Colonna: « Ho presentito che Vostra Signoria s’ha messo in animo d’andar a trovar i figliuoli del Signor Cammillo Colonna, e correr la fortuna loro, qualunque sia. Io non posso credere che siate per farlo, perché non v’ho per tanto imprudente, ch’abbiate a stimar poco di far dispiacere a Nostro Signore e di venir in disgrazia sua, con pericolo di rovinar voi e la casa vostra, e spezialmente pregiudicare alla servitù ch’l Signor Cristofano vostro fratello ha presocon la Santità Sua. Se voi non sapete che cosa sia l’esser in contumacia d’un papa, pigliatene esempio da me, che con tutta la mia innocenza ne son stato a pericolo d’estrema ruina, ed ho pur avuto degli appoggi d’importanza […] » . Non erano dunque tempi fruttuosi per il Card. Farnese, egli si trovò in una situazione imbarazzante ma soprattutto dovette subire non poche prevaricazioni dai nipoti del papa, cercando per quanto poté, di evitare uno scontro diretto sempre in agguato. Il 4 Settembre 1555 scrisse dunque al suo agente in Francia, Cavalier Tiburzio, affinché sollecitasse Enrico II a formare una lega con il Papa, contro Carlo V e ricordando che: «[…] sebbene in apparenza non posso mancare di far officio per il camerlingo, e mostrare di non dar fomento a queste cose […]»  sottolineando allo stesso il successivo 7 Settembre: « […] sarò forse imputato di riscaldarmi troppo in favor del Camerlingo; ma sappiate che si fa superfizialmente per satisfare all’apparenza, e gli amici e i parenti. Nel resto si lascia che abbia quel che é ito cercando» .
Finalmente il Sacro Collegio, al 19 Settembre 1555, rimise in libertà il cardinale Guido Ascanio Sforza dietro cauzione di trecento mila scudi, con l’interdizione a lasciare Roma senza autorizzazione, dopo che il conte Sforza, capo della famiglia, vedendo che le galere non venivano restituite e che le sue terre vicino a Castro e Pitigliano, erano in pericolo, andò dal duca d’Alba ed ottenne che fossero rilasciate e ricondotte dal loro capitano Niccolò Alamanni, come sappiamo dalla seguente missiva indirizzata all’agente del cardinale in Francia, il cavalier Tiburzio: « Dopo le ultime ch’io v’ho scritte, le cose stanno ne’ medesimi termini: e piuttosto si potrebbe dire che si fossero un poco rammorbidate, avendo gl’imperiali fatto ritornar le Galere, e Nostro Signore rilassato il camerlingo. Ma non per questo sono spenti i semi della discordia, e da tutte e due le parti s’arma, e gli animi sono sollevati […]».  Purtroppo il card. Farnese non sapeva ancora, nonostante l’apprezzamento del Re di Francia per le sue doti politiche, che quest’ultimo, di lì a poco, avrebbe trovato un accordo con il papa contro gli imperiali; il card. Carafa si era assicurato di lasciare all’oscuro il Farnese « […] e consigliando la rottura, e cacciandola avanti insieme col cardinale , mandarono Annibale Rucellai in Francia, facendo concerto insieme di non dirmene cosa alcuna. […] per confettar me con Sua Santità, hanno detto ch’io pratico con gl’Imperiali, e che la mia facilità é pericolosa per i negozi del Re e della Santità Sua. Io veduti questi andamenti, mi sono tirato indietro del tutto […].»  L’affare delle galere aveva creato un tale subbuglio che gli strascichi politici durarono alcuni mesi, mentre da quel momento il cardinale Farnese s’avviò lentamente a volgere i suoi interessi verso gli spagnoli. Ricordava quindi i consigli del nonno Paolo III, sottolineando al cavalier Tiburzio che: « Io ho parlato e parlo indifferentemente con ognuno d’ogni fazione. E voi sapete che non si può fare altramente in questa corte» .

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